Non siamo più vivi – Recensione

“Non siamo più vivi” un horror a tema zombie che vi farà riflettere

 

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Una delle copertine della serie

“Non siamo più vivi” è una serie basata sul webtoon Naver “Now at Our School”, di Joo Dong-geun, pubblicato tra il 2009 e il 2011. Dopo il successo di “Squid Games (trovate qui la recensione) le serie coreane spopolano. Distribuita a gennaio 2022 è attualmente disponibile su Netflix ed ha avuto un grande successo. La trama è di un’immediatezza confortante: virus che dilaga e infetta una cittadina sudcoreana che trasforma tutti gli infetti in zombie furenti. L’epicentro di tale sciagura è un tipico liceo asiatico che corrisponde a tutti gli stereotipi che un occidentale si aspetterebbe.

 

Di film post apocalittici ne ho visti un numero talmente elevato che non potrei non provare un filo di vergogna. Solitamente sono un buon diversivo per fuggire dalla realtà e immedesimarsi in un mondo fatto di solo istinto e sopravvivenza, una buona scarica adrenalinica accompagnata da una certa soddisfazione nello spegnere quella parte razionale corticale che controlla sempre tutto.

 

Ma a volte questi film ci prendono in contropiede e, nonostante la subliminale voglia di evasione, come il raggio di luce che disturba il dormiente di prima mattina, si fanno spazio nel torpore della ragione con fini intuizioni, delle analisi antropologiche esistenziali che mai avresti voluto affrontare in quel momento. Se vi aspettate soltanto disperate corse per la sopravvivenza potreste rimanere sorpresi, c’è molto altro! Se vi interessa l’argomento leggete anche La disumanità come espediente narrativo nel post apocalittico.

 

C’è zombie e zombie

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Gli esperti del genere “Apocalypse-zombie” ben sanno che esistono svariate tipologie di non morti: possono correre o andare lenti, urlare o essere silenti, aggregarsi in tribù o seguire un’orda improvvisata, ricordare o non ricordare il loro passato, essere senzienti o solo istintivi. La loro origine può essere associata a diverse calamità e ha ragioni diverse tra loro: da contatto con agenti atmosferici fantascientifici o prodotti artificiali, virus naturale o prodotto dall’uomo, calamità stile giudizio divino che giunge senza preavviso o comprensione, da causa ultraterrena o strettamente scientifica.

 

I zombie della serie presentano un antropomorfismo particolarmente distorto invece della classica putrefazione anatomica delle rappresentazioni occidentali. Nella serie il virus trasforma gli umani in corpi costretti a convulsioni innaturali e a torsioni articolari particolarmente impressionanti. Chi diviene zombie è in preda a istinti animaleschi, sono esseri umani rabbiosi, ipercinetici e assetati di distruzione di ogni forma di vita umana. Oltre all’istinto di nutrirsi, sembra che la loro furia vada oltre, quasi a voler zittire ogni forma di vita intesa come fonte di vitalità.

 

Mors tua, vita mea

 

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La genesi stessa del ruolo dello zombie è sempre stata associata a questo concetto: un umano che torna animale o che si rivela fantascientificamente come tale, il plautino “homo homini lupus” ovvero “l’uomo è un lupo per l’uomo”. Esistenzialmente per sopravvivere divora, da umano, moralmente ed eticamente l’altro e ora concretizza il suo essere subumano in questo mostro raccapricciante che esplicita la metafora esistenziale, nutrendosi fisicamente dell’altro. Di fronte a tanta brutalità poi di solito i protagonisti che sopravvivono e rimangono fisicamente umani sono costretti al bivio esistenziale noto a tutti gli amanti del genere: decidere se custodire l’essenza dell’essere umano, mantenere rapporti di socialità nell’aiuto e sostegno reciproco che però ti rende vulnerabile, oppure realizzare l’antisociale e cinico ideale del carnefice che pur di sopravvivere scavalca gli altri e li usa addirittura come scudo umano per salvarsi.

 

Questo concetto di “mors tua, vita mea” ovvero “la tua morte è per me vita”, per quanto più esplicito in questa serie e sempre comunque molto profondo e interessante, è serenamente considerabile un classico, di quelli che ti mantiene nella zona di confort del torpore corticale. La causa scatenante di questa epidemia è invece una degli spunti più significati della serie, davvero una rivelazione e una novità inaspettata.

 

La causa scatenante

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Il professore che inventa il virus letale

ATTENZIONE, INIZIANO GLI SPOILER!

A scatenare questa epidemia zombificante è stato un virus creato in laboratorio da un anonimo microbiologo e professore di questo liceo. Fin qui tutto rientra nei canoni. Ma la sorpresa è stata scoprire la motivazione per cui questo scienziato genera questo abominio. Ovvero: per il bene del figlio. Ci viene presentata la struggente storia di un padre che vede soccombere il figlio nella disperazione più nera, poiché a causa del bullismo arriva persino a tentare il suicidio. Quale dolore più grande nel vedere la persona che ami, come solo un padre può amare un figlio, vittima di umiliazioni tali da convincerlo che non merita di stare al mondo. Un padre che ha letteralmente dato la vita affinché il figlio sia vivo e felice, lo vede cadere nel nero baratro della disperazione. Questo dolore lo annienta, questa sofferenza senza speranza lo scandalizza. Di fronte al letto del figlio sopravvissuto al suicidio promette a sé stesso che non lo vorrà più vedere come vittima, promette che non dovrà più vivere questo scandalo della sofferenza, promette che il figlio non sarà più lo stesso debole e bisognoso di cure, e così giura vendetta.

 

Questa vendetta non sarà inflitta agli aggressori del figlio ma sarà soddisfatta attraverso la debolezza del figlio stesso, lo scandalo della sofferenza va annullato e cancellata ogni traccia di vulnerabilità. Così grazie al suo genio e spinto dal desiderio di negare la realtà debole e bisognosa del figlio, crea un virus in grado di trasformarlo in un guerriero che si sappia difendere dal dolore e dalle ingiustizie.

 

Lo scandalo della sofferenza che divora la speranza

 

Il risultato sarà tragico, come quando in ogni occasione della vita personale e della storia si nega l’umanità all’umano stesso.

 

Il virus avrà conseguenze catastrofiche sul ragazzo trasformandosi nel paziente zero dell’epidemia. Dopo il contagio si trasformerà in un animale feroce contorto e sanguinario. Effettivamente raggiunge lo scopo del padre. Il figlio si trasforma in un essere che non vivrà mai più la sofferenza, ma che ironicamente la procurerà a chiunque abbia a tiro.

 

Evitare di subire altra sofferenza non fa che procurarne altra. Da questo prologo, rivelato lentamente durante le puntate di pari passo con il dilagarsi dell’epidemia stessa, si comprende la metodologia con cui il contagio predilige le sue vittime, che è la vera perla di riflessione, il vero fulmine a ciel sereno che questa serie regala.

 

Contagio zombie ed etica?

 

Si vedrà che questo virus, trasmesso da persona a persona canonicamente attraverso il morso da parte di un infetto, non ha lo stesso effetto su tutti. Infatti va a distruggere e disumanizzare le persone vitali, che hanno ancora un cuore, una ragione per cui vivere e per spendere le loro energie, ma sembra inerme invece verso quelle persone che hanno già perso la speranza verso la vita. Novità assoluta! Solitamente il contagio zombie è un mero fattore biologico ineluttabile, se vieni morso muori e diventi zombie; invece qui sembra prendere connotati morali ed etici. Ci sono alcuni personaggi in questa serie che hanno perso la speranza di una vita bella, tra cui una ragazza bullizzata che vuole suicidarsi e un bullo che crede di non avere altra possibilità nella vita se non quella di schiacciare l’altro. Entrambi risultano immuni a questa trasformazione, anzi vengono potenziati da questo virus. I due diventano una versione umana senziente di questo prototipo di carnefice, ovvero la realizzazione dell’homo homini lupus di Plauto.

 

Ecco questo mi ha dato molto da pensare e mi ha davvero risvegliato dal torpore confortevole di quella che pensavo fosse una serie scontata. Lo scandalo della sofferenza che divora la speranza. Da una parte genera dei carnefici spietati che sono disposti a tutto pur di non soffrire e dall’altra estirpa la speranza di bontà e di bellezza trasformando le vittime in carnefici.

Questo è stato un regalo grande di profonda riflessione personale, che solo una serie tv ha la forza metaforica di rappresentare e veicolare così intelligentemente.

 

 

Da vittima a carnefice

 

Quante volte per paura della sofferenza chi subisce delle ingiustizie si trasforma in carnefice? Sentendosi magari anche giustificato nell’agire così? Quanto male dilaga per evitare di soffrire? Questa serie mi ha interrogato profondamente su di me, sul mio limite naturale di essere e comportarmi umanamente dopo avere subito un trauma. E della chiusura che ne comporta verso gli altri e verso il bello e il bene.

È un grande mistero quello della sofferenza e del male. Altrettanto misterioso è il suo meccanismo di propagazione ciclico quasi ineluttabile. A volte sembra davvero nutrirsi della speranza nell’umanità fino a che non siano rimaste solo bestie ferite e incattivite dalla vita.

 

L’unico rimedio per bloccare questo meccanismo è un atto di bene nascosto e sconsiderato, senza pretesa di contraccambio. Farsi carico di questo male e di questa ferocia subumana subendolo e scegliere volontariamente, con forza, di non propagarlo. Questo atto lo troviamo incarnato in un personaggio secondario, una professoressa di buon cuore che decide volontariamente di salvare una alunna allontanata dal gruppo dei protagonisti poiché macchiatasi di omicidio. Un giusto che si sacrifica per un’ingiusto. Questo sacrificio nella trama non ha nessun peso e non cambia le sorti dell’epidemia, ma probabilmente salva la giovane omicida da una vita senza speranza e redenzione (magari sarebbe stata trasformata proprio in una  di quelle azzannatrici consapevoli).

 

Conclusione

 

Per citare un grande amante dei “gesti nascosti”, Gandalf il Grigio:

Gandalf: “Sono le piccole cose, le azioni quotidiane della gente comune che tengono a bada l’oscurità. Semplici atti di gentilezza e amore.” (Il Signore degli Anelli)

Il messaggio è di una potenza incredibile. Questi piccoli atti nascosti e invisibili ai grandi meccanismi delle cose sono gli unici che bloccano il propagarsi del vittimismo, del ciclo vittima-carnefice. Una persona comune decide di interrompere la catena prendendosi questo male e per assurdo salvando il suo stesso carnefice ridondandogli la speranza verso la vita.

Voto? Beh, ★★★★★ se li merita!

1 commento

  • Debora
    20 Febbraio 2022

    Bellissima serie! Mi trovo d’accordo con la riflessione sul ciclo di odio e le riflessioni per “interromperlo”. A me personalmente ha colpito anche la mezzombie “buona”, lei si risveglia dallo stato zombie dopo essersi sentita chiamata per nome dal ragazzo che gli piace, forse alla base della vittoria verso il virus c’è anche una “tigna” a vivere, il bullo ha la vendetta mentre la bullizzata aveva l’ossessione di distruggere le foto con lei seminuda.

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