Squid Game – Recensione
Il segreto del successo di “Squid Game”
Negli ultimi mesi il fenomeno del momento è indubbiamente Squid Game: uno splendido telefilm sudcoreano, il cui genere è il survival/battle royale, di cui l’autore è Hwang Dong-hyuk, uscito per la piattaforma di streaming Netflix verso la fine di settembre. Nonostante l’enorme successo avuto dalla serie, che ha coinvolto centiania di paesi, gli amanti dei telefilm (k-drama), dei film e del cinema sudcoreano sanno perfettamente che nell’arco di pochi anni, cioè dagli anni ‘90 in poi, questo paese ha prodotto migliaia di opere pregevoli e, di recente, ha raggiunto una qualità nelle sue produzioni di altissimo livello.
Il successo dei telefilm asiatici
Dunque la sorpresa del successo di “Squid Game” è solo per chi non conosce bene l’Asia è la sua grande capacità di produrre opere il cui spessore umano, spesso e volentieri, supera quello di noi occidentali. Anche i cosiddetti “drama”, a cui dedicheremo il meritato spazio, hanno negli ultimi anni aumentato di molto il loro livello qualitativo. Uno dei più interessanti del momento è “L’affetto reale”, una storia d’amore e un romanzo storico che fa vedere cosa si può fare con questo genere se si vuole raggiungere il grande pubblico occidentale, sempre per Netflix. Naturalmente lo stesso discorso vale per opere come “Crash Landing On You”. Da parte sua la piattaforma di Netflix si è rapidamente espansa a livello globale, investando cifre astronomiche non solo sul Giappone ma anche sulla Corea del Sud, ben consapevole che una vasta fetta di pubblico è letteralmente disinteressata da ciò che produce l’Occidente, preferendo volgere lo sguardo sulle opere orientali… che per chi non lo sapesse non sono solo gli anime! L’enorme crescita dei cosiddetti “Otaku” è la dimostrazione che i gusti del pubblico stanno cambiando moltissimo e Netflix ha dimostrato abbastanza intelliegenza da rendersene perfettamente conto. Così, grazie a quegli investimenti, si è progettato a tavolino un capolavoro quale “Squid Game”.
Ma vediamo un po’ le ragioni del successo di questa serie, di cui ne abbiamo in parte anticipato alcune cose nell’articolo “La ‘disumanità’ come espediente narrativo nel post apocalittico”.
Una storia vecchia e nuova!
“Squid Game” riprende la struttura narrativa dei classici survival e battle royale, ma riproponedola in modo diverso con uno spessore assolutamente nuovo.
Il protagonista è Seong Gi-hun, il classico fallito in tutto: divorziato con una figlia che non riesce a vedere spesso, costretto a vivere ancora alle spalle della madre, indebitato, ludopatico e pieno di problemi con la vita. Un giorno uno sconosciuto gli propone di partecipare a una strana gara con l’obiettivo di vincere una somma di denaro esorbitante. Tale è la disperazione di Seong Gi-hun che egli accetta l’offerta nella speranza di risollevare la sua situazione familiare, sperando di ottenerne l’affidamento della figlia che l’ex moglie non gli permetterà più di vedere dal momento che ha deciso di trasferirsi in America con il suo nuovo marito. Dopo essere stato narcotizzato, Seong Gi-hun si risveglierà in un luogo sconosciuto insieme ad altre 455 persone disperate quanto lui e disposte a tutto pur di vincere la gara. I giocatori saranno tenuti costantemente sotto controllo da guardie mascherate, sotto la sovrintendenza di un inquientante personaggio, il “Front Man”, colui che gestirà tutto il gioco. I giocatori scopriranno ben presto che i giochi sono mortali e chi perderà verrà ucciso brutalmente. Ogni morte, inoltre, ingrandirà enormemente il montepremi. Gi-hun farà squadra con altri giocatori, incluso il suo amico d’infanzia Cho Sang-woo, per sopravvivere alle sfide fisiche e psicologiche sottoposte dai mortali giochi.
Alla ricerca del fratello perduto
Alla storia di Seong Gi-hun si aggiunge quella di Cho Sang-woo, interpretato da Wi Ha-joon, un giovane poliziotto che vuole ritrovare il fratello scomparso e che riesce a introdursi nella struttura dove avviene il perverso gioco di sopravvivenza, prendendo il posto di una delle guardie mascherate. La sua storia è altrettanto importante, non solo perché ci mostrerà il “dietro le quinte” dell’organizzazione segreta capeggiata da “Front Man” e il misterioso pubblico – i VIP – a cui è rivolto questo gioco basato sulla violenza, ma anche lui affronterà tutta serie di conflitti interiori che culmineranno in un colpo di scena che vi lascerà, non faccio spoiler, letteralmente senza parole.
Al di là della struttura narrativa, ogni personaggio della storia è davvero ben caratterizzato e i legami o gli scontri che si creeranno tra i vari giocatori metteranno in risalto l’alto livello di spessore umano che si cela nella sceneggiatura di “Squid Game”. Ogni personaggio, nel bene o nel male, vivrà un conflitto morale. Questo porterà a scegliere se giocare davvero per vincere… O se fare il possibile per non perdere se stesso, per non trasformarsi in uno di quei mostri disposti a tutto per il proprio egoismo. Non si tratta di un conflitto nuovo, lo abbiamo già visto in tantissime opere dove vige la regola del “muori o sopravvivi!”. Tuttavia, è come viene gestita la storia, lo sviluppo dei personaggi che mette in risalto Squid Game, redendolo di una spanna sopra ai suoi predecessori.
La vittoria dei falliti
Ciò che davvaro è in gioco non è tanto il montepremi o la sopravvivenza. Ma la capacità di restare se stessi in un contesto assurdo e surreale, dove non è possibile rimanere in vita senza sporcarsi le mani. Cioè, senza uccidere l’altro. In questo conflitto i personaggi con il background più aderente a quello del cosiddetto “fallito”, cioè persone che non sono riuscite a ottenere nulla dei buoni propositi che si erano prefissi nella vita, si rivelano, paradossalmente, avvantaggiati. Seong Gi-hun, incarna il fallito. E mostrerà come sia più facile, per chi che già hanno perso tutto, non rinunciare a ciò che gli resta: poter fare il bene. E fino alla fine combatterà per la sua “umanità”.
Si scopre così come molti degli argomenti affrontati, riguardano i drammi della nostra società o di quella coreana. Cioè il dio denaro, le difficoltà economiche, il successo e la pretesa del benessere. Tuttavia sono soltanto elementi di contorno per affrontare quello che è il vero tema della storia: vogliamo sopravvivere o vivere? Il dilemma filosofico, affrontato da tante altre opere, viene proposto in modo nuovo. Grazie a dei colpi di scena che, naturalmente, non vi spoilererò.
Ci sarà un sequel?
Sempre non anticipandovi nulla, Squid Game si conclude in modo da lasciare spazio a un sequel. Valutando il successo della serie, ci sarà senz’altro. Ma sarà all’altezza della prima stagione? E quale espediente sarà scelto per continuare la storia?
Una cosa è certa: adesso il grande pubblico è consapevole che anche altri paesi del mondo oltre agli Stai Uniti sono capaci di grandi produzioni, per di più in grado di mostrare che alla povertà intellettuale e umana di cui soffre buona parte dell’Occidente postmoderno può sopperire un’altra parte del mondo, dove c’è ancora il desiderio di proporre opere di grande spessore umano e morale. Naturalmente Squid Game si rivela, soprattutto per le scene forti e violenti, un’opera per adulti. Ma questo è legato al genere a cui appartiene. Dunque un telefilm per stomici forti, da vietare ai più giovani. Ma non accompagnato da quella violenza gratuita di cui troppo spesso soffrono i battale royal.
Conclusione
Squid Game si rivela un battle royale eccezionale. Ben gestito sia per la sceneggiatura che per la regia, con una trama avvincente. Non mancano colpi di scena. Non mancano conflitti dei protagonisti davvero profondi e di alto spessore, sia per i dilemmi morali che per la verietà dei personaggi chiamati in causa. E possiamo affermare che non si poteva in alcun modo pretendere di più da un’opera di questo genere. Pertanto, eccoci al voto: ★★★★★! Gli diamo il massimo perché, lo sosteniamo con convinzione, non ha davvero quasi alcun tipo di difetto. Anzi, sorprende, sfrutta la suspense in modo intelligente e commuove anche per il dramma vissuto dai personaggi secondari. Non ci resta che sperare che il sequel sarà dello stesso livello qualitativo di questa prima stagione.
Affascinato dalle storie di Arda, ho cercato di capire perché Tolkien sostenesse che a essere immaginario è solo il tempo in cui sono ambientati i suoi racconti. Ho così iniziato un cammino che mi ha portato ad amare quel senso profondo della realtà che si può sintetizzare con il Viaggio dell’Eroe, di cui la Storia delle storie è per me la massima espressione. Dunque, mi occupo di sceneggiatura, spiritualità e narrativa!