Anelli del Potere una serie che non decolla
A due episodi dalla fine della prima stagione è tempo per un bilancio per la lungo attesa serie di Amazon Prime ispirata alle opere di Tolkien.
Bilancio che possiamo laconicamente riassumere in Gli anelli del potere è una serie che non decolla, ancora troppo impegnata nelle operazioni di rullaggio sulla pista televisiva. Personaggi poco incisivi (sopratutto quelli tratti da Tolkien), trame che finiranno con l’intrecciarsi in un finale che si spera all’altezza, ma per il momento si limitano a girare a vuoto. E soprattutto una confezione sontuosa ma che raramente dona momenti all’altezza delle aspettative.
Messe da parte le obiezioni legate a come è stato trasposto il mondo di Arda minuziosamente immaginato (e descritto) da Tolkien, e su cui ci siamo ampiamente soffermati nei mesi precedenti (dal cast inclusivo e la “fedeltà all’originale”, all’età degli elfi e dei loro intepreti, alle dichiarazioni degli showrunner) proviamo a raccontare queste prime sei puntate senza preconcetti (e con qualche spoiler).
Computer Graphic sontuosa, ma lo stagecraft è un’altra cosa
Uno degli aspetti su cui le recensione entusiastiche hanno insistito di più è la qualità degli sfondi digitali. Indubbiamente il lavoro degli artisti della CGI è di assoluto livello per quanto riguarda gli sfondi, e le rappresentazioni delle città. Assolutamente sbalorditiva la visione di Númenor all’inizio del terzo episodio. Ma la bontà della grafica digitale non sempre si integra con la regia. Il difetto è più evidente nei primi due episodi diretti da J.Bayona, in cui spesso alcuni personaggi rischiano di sembrare delle belle statuine davanti a un sontuoso greenscreen. Difetto che tende a ripresentarsi ogni volta che si accendono le troppo patinate luci del regno elfico del Lindon. Situazioni in cui l’effetto di profondità creato dagli artisti digitali mal si integra con la fotografia degli interpreti.
Insomma se la CGI è sontuosa non è sempre integrata con la scena. Inoltre si insiste molto sulla luminosità e sulle luci dei fondali, tutto in maniera estremamente soffusa. E spesso con un’effetto sfocato dello sfondo (bokeh in gergo) che alla lunga fa perdere realismo alla scena. L’effetto della sfocatura cercata dello sfondo dovrebbe essere legato alla messa a fuoco degli interpreti. Se rimane “fisso”, indipendentemente dal piano e dalla profondità dell’inquadratura, finisce con l’essere irrealistico. Semplificando troppa luce e poche ombre (cosa che al rivale HBO House of the Dragon non difettano, e che quindi pur nei limiti di una CGI meno grandiosa oscura il rivale per il maggior realismo delle scene).
Anche perchè ormai siamo abituati al livello delle serie Star Wars, Mandalorian in primis, realizzate con la tecnica dello stagecraft, lo sfondo digitale che si adatta alla scena. E che da tutta un’altra profondità di campo e realismo alla regia.
Scene con poche comparse
Altro limite dei primi due episodi diretti dallo spagnolo Bayona (pure autore d’esperienza, suo l’ottimo dark fantasy Sette minuti dopo la mezzanotte), è la totale assenza di comparse in alcune scene. Ci limitiamo a vedere i protagonisti, e al massimo qualche comprimario. Questo causa alcuni momenti assolutamente cringe con al centro il povero Celebrimbor.
Celebrimbor viene presentato in pompa magna come Re dell’Eregion, con la solita cartolina digitale della capitale. Dopo due minuti il Re dell’Eregion e Elrond, araldo di Gil-galad (l’alto re degli elfi), vanno a fare visita a Durin, principe ereditario dei nani e amico personale di Elrond.
I due sono a piedi (cavalli? Dalla mappa sembra un lungo viaggio?) e soli. Anche se è vero che quella che propone Elrond è una visita amicale è impensabile chiudere la sequenza con Celebrimbor che resta chiuso fuori dalla porta.
E anche quando nel quinto episodio vediamo Durin ed Elrond tornare nel regno nanico dopo un incontro con Gil-galad il corteo si riduce a due nani in armatura (almeno a Durin a differenza di Celebrimbor hanno dato un po’ di scorta), e un gruppetto di elfi deputati a trasportare un grosso tavolo di pietra. Evidentemente nella Terra di mezzo gli unici a conoscere l’esistenza della ruota e dei carri sono i pelopiedi. Come per la CGI, la scarsità di comparse più che un limite della serie sembra una caratteristica del Lindon.
Insomma il Lindon (a differenza di Númenor e di Khazad-dûm) sembra essere poco di più che un fondale per cosplayer.
Celebrimbor rimasto fuori dai cancelli di Khazad-dûm, sembra dire “m’hanno rimasto solo sti’ quattro…” come ne L’audace colpo dei soliti ignoti
Più che la mancanza di epicità, sembrano quelle scelte da fiction italiane irrise da Boris1.
Galadriel, più antipatica che guerriera
Altro grosso limite della serie è la costruzione dei personaggi. Specialmente colei che è la protagonista (presente in tutti gli episodi), nonché voce narrante del prologo: Galadriel. Più che un’elfa forte, sembra una personalità bipolare ossessionata dalla vendetta. Salvo rapidamente e temporaneamente rinsavire nel quinto episodio, grazie all’umano Hallbrand, l’unico che sembra in grado di spiegare a un’elfa dall’età millenaria come va il mondo. E concederci nel sesto episodio qualche momento da vera signora degli elfi.
Ma partiamo dall’inizio. Dopo il flashback con Galadriel bambina a Valinor, la vediamo a caccia di Sauron tra i ghiacci della Terra di mezzo. Comanda con una piccola compagnia di elfi che sembrano le red shirts votate alla morte di Star Trek. La red shirt elfica in fondo alla fila finisce a terra… stremata gli altri chiedono alla comandante Galadriel di fermarsi. Galadriel rifiuta dicendo di andare avanti (non sono inseguiti, non c’è assolutamente nessuno intorno se non ghiaccio e vento), ma poco dopo ci ripensa e cede il suo mantello al povero sottoposto. Una scena che anziché trasmetterci la fierezza e magnanimità dell’elfa, ci descrive solo un comandante pazzo e bipolare. E bene faranno i suoi uomini ad ammutinarsi poco dopo.
Galadriel più vicina al colonello Kurtz di Apocalypse Now e al comandante Bligh dell’ammutinamento del Bounty, che ad un grande comandante elfico. Dopo questo primo impatto l’ossessione per la vendetta assieme alla totale mancanza di empatia e di comprensione del contesto continua a tornare negli episodi successivi. Sia nel terzo che nel quarto quando si trova di fronte a Tar-Míriel, la “regina reggente” di Númenor. In entrambe le sequenze la grande comandante elfica non ha la minima cognizione di trovarsi di fronte alla “regina reggente”, e nonostante la millenaria esperienza alle spalle che dovrebbe avere, agisce in maniera arrogante. Con un tono da “Io so io e voi…” de Il marchese del Grillo.
Battute alla Alberto Sordi a parte, non si capisce mai del tutto l’arroganza esibita da Galadriel, che la porta persino a minacciare Elendil il suo salvatore (nonché amico degli elfi, anche letteralmente da come si può interpretare il suo nome).
Solo a partire dal quinto episodio (dopo aver convinto i numenoreani ad organizzare una spedizione militare) Galadriel finalmente si rabbonisce. Regalandoci non solo sorrisi per la prima volta non forzati. Ma anche un momento di confronto liberatorio con Hallbrand! Come un’eroina in gonnella di fine ‘800 che si confronta con l’uomo rude e di poche parole che riesce a tenerla a bada. D’altronde è Hallbrand che con i suoi spiegoni (o si dovrebbe parlare di mansplaining?) a tenerla in carreggiata. E fortuna che Galadriel sarebbe un’eroina moderna, una qualunque protagonista di Jane Austen è più moderna di lei. Elemento che torna nel sesto episodio dove nuovamente la vendetta riprende il sopravvento e Hallbrand deve metterci una pezza.
Stereotipi culturali
Se con Galadriel, personaggio cardine delle opere di Tolkien, le cose non vanno troppo bene, alcuni dei personaggi inventati come Arondir e Adar risultano assolutamente ben costruiti, e in grado di tenere alta l’attenzione dello spettatore. Ma anche loro due rappresentano un eccezione.
Il grosso dei “personaggi inventati” dagli autori de Gli anelli del potere non sempre funziona. Come nel caso dei “proto-hobbit”, i pelopiedi, introdotti nella serie come “antenati” dei canonici hobbit tolkieniani.
Che gli hobbit di Tolkien fossero anche uno stereotipo di una certa Inghilterra rurale e borghese è cosa nota. Dispiace però che in una serie che si professa inclusiva si giochi con altri stereotipi. Nell’originale di The rings of power i nani hanno accento scozzese, e i pelopiedi accento irlandese, e soprattutto si calca la mano con lo stereotipo dei gitani irlandesi. Tanto che in Irlanda lo hanno già fatto notare.
Al di là delle stereotipizzazione dei pelopiedi lo stesso sviluppo di questa comunità creata ex-novo per la serie lascia più di una perplessità. Nomadi e attenti a non farsi scoprire dagli uomini (atteggiamento in linea con gli hobbit tolkieniani) nel terzo episodio viene mostrata una sorta di festa-cerimonia prima della loro partenza. Festa che è un esasperato ammiccamento alla festa di compleanno di Bilbo come raccontata da Peter Jackson (uno dei tanti rimandi più o meno forzati de Gli Anelli del Potere alla trilogia cinematografica).
I pelopiedi e la spietata selezione naturale
Cerimonia in cui scopriamo che vengono ricordati i pelopiedi rimasti indietro durante le migrazioni. Ovvero coloro che sono scomparsi perché non riuscivano a tenere il passo della comunità. Ci si aspetterebbe un momento drammatico, in cui si racconta di poveri pelopiedi “rimasti indietro” a causa di mannari e cacciatori. Invece è un momento di ilarità collettiva in cui si ironizza sulle morti dei poveri pelopiedi a causa di vespe o per aver mangiato le bacche sbagliate. Insomma val bene la selezione naturale, ma quindi sembra di assistere a una scena di Amici miei in cui si ironizza su chi ha fatto una brutta fine.
Anche in un momento drammatico i pelopiedi finiscono col fare l’insistita spalla comica. Peccato solo che la costruzione della scena sia assolutamente stridente, con i pelopiedi che diventano entusiasti sostenitori della selezione naturale più spietata, e magari anche dell’eugenetica. Solo in parte la situazione si sistema nel quinto episodio con la canzone di Poppy in cui si da maggior profondità al senso e ai pericoli della migrazione dei proto-hobbit. Ovviamente canzone che mima The Road Goes Ever On, la canzone di Bilbo, perché come vedremo ne Gli anelli del potere tutto deve mimare Il signore degli anelli e Lo hobbit.
I continui rimandi alla trilogia jacksoniana
I pelopiedi che fanno una festa stile compleanno di Bilbo non è l’unico elemento a costituire un rimando alla trilogia di Peter Jackson. E non si tratta di semplici ammiccamenti, fanservice, per costruire un dialogo con i fan dei film. Ad esempio come in alcune inquadrature di Galadriel. In alcuni casi si va oltre.
È il caso del misterioso straniero arrivato con la meteora, soprannominato dal fandom meteorman. Personaggio senza memoria e dai misteriosi poteri che entra in contatto con la pelopiede Nori. E che la regia ci mostra come se fosse il Gandalf di Ian McKellen. E la stessa Nori, assieme all’amica Poppy in molte scene sembrano replicare il rapporto Frodo e Sam, o i momenti comici di Merry e Pipino. O le stesse evoluzioni di Arondir che richiamano il Legolas immaginato da Peter Jackson.
Hallbrand e Aragorn o del Ritorno del Re
Il caso più eclatante è quello di un altro personaggio della serie, il misterioso Hallbrand, l’unica persona a guadagnarsi la fiducia di Galadriel. Uomo misterioso, che nasconde le sue origini, e su cui la regia e il trucco calcano la mano nell’evidenziare le somiglianze con l’Aragorn di Viggo Mortensen. Ma non finisce qua. Nel terzo episodio scopriamo che (oltre ad avere doti diplomatiche nettamente superiori a quelle di Galadriel) è l’erede al trono degli uomini del sud. La regione di Mordor dove Sauron sta consolidando il suo potere, e per di più i Re suoi antenati combatterono proprio dalle parte dell’oscuro signore.
Galadriel, nonostante il suo odio per Sauron, è convinta che Hallbrand possa redimere la sua casata tornando a regnare sugli uomini del sud. E guidarli in battaglia contro contro Sauron assieme alle armate elfiche!
Insomma un ritorno del re in tutto e per tutto. Evidente che questi continui rimandi visivi all’immaginario definito da Peter Jackson, assieme al plot che ricalca la vicenda di Aragorn (compresa una certa tensione di sguardi tra l’uomo Hallbrand e l’elfa Galadriel (che ricordiamo dovrebbe essere sposata con figlia xD )), dimostrano come ci sia una volontà di mimare alcuni momenti cardine de Il signore degli anelli.
E se abbiamo Il ritorno del re non manca nemmeno l’assedio al fosso di Helm, replicato da Arondir e Bronwyn assediati in una vecchia fortezza nel quinto e sesto episodio. Incluso all’alba guarda ad est per la carica di cavalleria…
O la “leggenda apocrifa” che si raccontano Elrond e Gil-galad, dove un’elfo combatte con un Balrog in cima alle montagne nebbiose. Proprio come Gandalf e il Balrog di Moria…
Quasi che gli autori non abbiano nemmeno provato, al netto delle dichiarazioni, di immaginare qualcosa di originale. Tentare di creare un’opera coerente, ma autonoma da Il signore degli anelli di Jackson. Invece si continua ad ammicare in un continuo “facciamo come Jackson”.
Il castello di Greysckull? Il fosso di Helm? No, la fortezza del sesto episodio
Trame che si incrociano perché sì!
Ma nonostante il desiderio degli sceneggiatori di mimare i momenti topici dei classici cinematografici tratti da Tolkien, l’intreccio fatica a funzionare indipendentemente dai problemi nella scrittura dei singoli personaggi. Come insegna Il signore degli anelli (o anche Il trono di spade) prima riunisci i personaggi, poi li separi. E poi si vede… Gli anelli del potere opta per una costruzione assolutamente causale.
Galadriel finisce a Númenor per caso. Farà di tutto per inimicarsi i numenoreani, finendo rinchiusa, poi in fuga. Poi di nuovo arrestata e poi di nuovo in fuga. E poi alla fine ottenendo quello che aveva sempre voluto: un’armata per la terra di mezzo. Lo strumento è l’azione dell’albero Nimloth, l’albero bianco di Númenor, la cui caduta delle foglie si rivela provvidenziale per far cambiare idea a Tar-Míriel.
Certo l’uso dell’albero è una scelta perfettamente tolkieniana, ma il girovagare di Galadriel a Númenor a livello narrativo è servito a poco. I personaggi sono introdotti, fanno cose, ma la psicologia resta vaga. E improvvisamente, quando è ora di “tirare le somme” ecco che arriva l’elemento di trama successivo. Compresa il momento “confessione liberatoria” di Galadriel ad Hallbrand degno di un’eroina di un romanzo rosa.
Non si tratta di una scelta “attendista” della regia, in cui gli avvenimenti vengono centellinati per costruire un’epica. I personaggi vivono tanti momenti piccoli spiccioli che restano più o meno slegati tra loro. Vedi il caso di Elendil. Personaggio tolkieniano, con un’interprete all’altezza ma frenato da due figli assolutamente da “telefilm medio a stelle e strisce”.
I figli di Elendil
Se Elendil tra i personaggi tratti da Tolkien è quello più convincente e fedele2 non così i suoi figli: Isildur, determinante nelle vicende dell’Unico anello, e la figlia Eärien, personaggio originale della serie.
Isildur è il classico giovanotto indeciso che non riesce a trovare la sua strada. La carriera nella marina numenoreana è destinata a fallire per la voce che sembra richiamare Isildur, buttata là. Fallimento in cui trascina i suoi amici, da cui apprendiamo che forse è solo un raccomandato, forse solo il rapporto con il padre, l’aver perduto la madre? Potrebbero essere sottotrame interessanti per la psicologia di un personaggio fondamentale. Ma resta tutto in superficie, e Isildur continua a vagare alla ricerca di un “posto nel mondo”, come un giovane Holden qualsiasi. Ma senza il suo desiderio di ribellione.
Desiderio di ribellione che si intravede in Eärien, la figlia che sembra parteggiare per Pharazon (quindi contro gli elfi). Ma anche qui resta tutto in superficie e suona quasi paradossale. A differenza di Isildur, Eärien sembra in ottimi rapporti con il padre Elendil, l’amico degli elfi. Regia e sceneggiatura non ci danno alcuno spunto o indizio per capire quali siano i rapporti nella famiglia di Elendil.
Paradossi e coerenza narrativa
E i paradossi narrativi non bisogna nemmeno cercarli, in quando talvolta costruiscono gli stessi snodi narrativi. Come tocca al povero Arondir tra i personaggi più interessanti, perfettamente in linea con quello che ci si aspetterebbe da un’elfo tolkieniano. Nonostante queste premesse scopriamo al 5° episodio che la fortezza che gli elfi presidiavano da secoli era un’ex fortezza di Sauron dove ci sono ancora i bassorilievi originali dell’Oscuro Signore. Gli elfi si erano limitati a metterci sopra un rampicante!
Ne Gli anelli del potere le cose succedono perché devono succedere. “Così de botto, senza senso“, come direbbero gli sceneggiatori della già citata Boris. Anche a costo di mettere esplosioni alla Michael Bay nel porto di Númenor!
Sì, le navi numenoreane esplodono in porto… Si tratta di una fuga di olio estremamente infiammabile che causa una detonazione nel giro di pochi minuti. Navi numenoreane in grado di trasportare almeno 160 uomini armati e 160 cavalli,
Esplosione che sarà provvidenziale per far ritrovare ad Elendil un po’ di fiducia nel figlio Isildur. Mentre scopriamo che Pharazon non riesce nemmeno a convincere suo figlio della bontà della sua strategia.
E anche se non è un’eplosione, la demolizione controllata della torre durante l’assedio appare ancora più campata per aria. Probabilmente tra le skill dell’elfo silvano Arondir c’è anche quella di artificiere.
Elfi che ci rubano il lavoro
D’altronde, nonostante lo sfoggio di citazioni tolkieniane (gli alberi, Fëanor, Morgoth, i Valar e così via) agli sceneggiatori non interessa creare una trama “coerente” con quello che è l’immaginario tolkieniano. All’inizio del quarto episodio scopriamo perché Númenor non va più d’accordo con gli elfi. Il problema non è l’invidia dell’immortalità che causera l’attacco a Valinor e l’Akallabêth.
Bensì il rischio che gli elfi immigrati rubino il lavoro ai numenoreani! Perché gli elfi, bontà loro, sono lavoratori instancabili. Insomma i numenoreani come i redneck texani che non vogliono la concorrenza degli immigrati centro-americani. E chi era quello scrittore a cui non piacevano le “allegorie”? Tolkien!
Tutto “entro la primavera”
Dettagli di sceneggiatura che sfuggono non solo quando ci si rapporta con il corpus originale. Ma anche quando gli showrunner lavorano di testa loro. Sempre in ottemperanza alla regola: è un mondo fantasy, non ci sono regole, quindi le cose devono accadere e basta. L’elemento più emblematico è la questione di tutto quello che deve accadere “entro la primavera“. Ma nessuno ci ha spiegato in che stagione ci troviamo. Non una scena che lo spieghi (a meno di interpretare gli alberi del Lindon come autunnali).
Entro la primavera dovrà essere completata la torre-forgia di Celebrimbor (per cui Elrond chiederà aiuto ai nani di Durin). E nel quinto episodio scopriamo che entro la primavera è anche il limite di sopravvivenza degli Elfi del Lindon. Perché Gil-galad ha visto uno degli alberi del Lindon iniziare a marcire ed ammalarsi. Dopo tre episodi a chiedersi perché tutta questa fretta nel completare la torre-forgia… Tanto gli elfi non sono immortali?
Invece colpo di scena. Gli elfi hanno la data di scadenza. Tanto è un fantasy.
O come nel sesto episodio dove la cavalleria numeroneana3 sa esattamente dove trovare gli orchi al villaggio di Branwyn, si è no 100 abitanti in tutto. Tanto è un fantasy, non si tenta nemmeno con qualche elemento di montaggio far capire che ci può essere stata un’esplorazione, l’aver notato un fuoco, la demolizione controllata di una torre. No, è un fantasy, le cose devono accadere.
Saturare gli elfi nella luce dei Valar
Una scrittura sciatta a livello di costruzione dell’intreccio. E che al di là dei “nomi di cose, entità e luoghi” dell’originale finisce col cozzare violentemente con il corpus tolkieniano. No, Gli anelli del potere non è una fanfiction. Le fanfiction possono avere dei limiti, ma in genere tendono a essere fedeli e coerenti con il materiale d’origine.
Qua il materiale d’origine è compresso in strani mashup: apprendiamo che il mithril, il materiale leggero e resistentissimo che conosciamo da Lo hobbit e da Il signore degli anelli è così importante non per le sue doti metallurgiche. Bensì perché racchiuderebbe la luce di uno dei Silmaril (i gioielli creati da Fëanor)!
Vabè, una trovata. Ma quello che lascia perplessi è quello che dice Celebrimbor a Elrond. Il fabbro elfico forgiatore dei tre anelli degli Elfi spiega che serve Mithril in quantità. Tale da averne “Abbastanza da saturare ogni elfo rimasto nella luce dei Valar, ancora una volta…“
Che vuol dire? Il solito gergo fantasy di cose magiche… In fondo è un fantasy, la coerenza del mondo è irrilevante. Tutto il contrario dell’insegnamento tolkieniano. Forse si tratta di una trovata alla Breaking Bad, tanto si è capito che Gli anelli del potere è solo un mashup delle serie televisive di tendenza.
Eppure i momenti buoni non mancherebbero
A guardare la serie più distrattamente dal punto di vista tolkieniano non mancherebbero qui e là ottimi spunti:
- La storyline di Arondir, con momenti assolutamente di livello. Come quando è costretto a malincuore ad abbattare un albero
- Durin IV e suo padre Durin III
- Alcune scene di Elrond e il principe Durin IV, peccato solo che la povera regina Disa costretta a intervenire come spalla comica rovinando il climax faticosamente costruito.
- Adar, il “padre degli orchi”. Personaggio eccezionale, presentato con la giusta dose di mistero. In tutte le scene basta la sua presenza per far cambiare il passo alla serie. Ed è ben giocato anche l’elemento meta-televisivo sul fatto che possa essere Sauron. Ma come scopriremo non è così contento di essere scambiato per l’Oscuro signore.
- A Númenor qualche scena di Pharazon o Elendil
- Persino il canto di Poppy e la migrazione dei pelopiedi nel 5° episodio è uno spunto interessante!
- Anche il sesto episodio, pur con grossi limiti complessivi nel doppio confronto Arondir-Adar e Adar-Galadriel funziona. Come funzionano alcune trovate di regia.
Ma restano momenti talmente diluiti nella noia, nell’abuso dei rallenty, nei momenti cringe da essere insufficienti a far decollare la serie. Nelle scene buttate là anche se ben coreografate (come l’allenamento con le spade delle reclute numenoreane e Galadriel nel 5° episodio, coreagrafia discreta, ma adatto più a una commedia-avventurosa come Pirati dei caraibi o un vecchio film di Errol Flyn che alla dimensione epica cercata invata dagli showrunner).
Una serie che non decolla
Personaggi in buona parte malcostruiti. Una computer graphic di livello ma non sempre fusa con gli attori. Alcuni scelte di costumi al di sotto di quelli di un cosplay medio. Abuso dei rallenty per sottolineare i momenti topici della serie (Se Wayne Yip ne abusa anche la Brändström ci casca). Storyline che finiranno con l’intrecciarsi perché deve andare così, e non per gli elementi forniti al telespettatore. Un continuo ammicare su “chi possa essere il cattivo”, ma senza creare tensione nei personaggi. Limitandosi a scene che vanno bene per un “Indovina chi!” dell’Oscuro Signore.
E, purtroppo, riferimenti tolkieniani modesti nella migliore delle ipotesi. O assolutamente offensivi nella peggiore. Il solo riferimento degno è come viene impostato Adar, apocrifo ma coerente. E che resta, a due episodi dalla fine della prima stagione, un caso assolutamente isolato. Questo è il materiale della serie televisiva che avrebbe definito un nuovo standard delle serie televisive.
Ma Gli anelli del potere non è I soprano, non è Breaking Bad, non è Mad men e non è il Trono di Spade. Gli anelli del potere è solo una serie media che dona pochi e rari grandi momenti. Ma il più delle volte finisce in momenti da facepalm o cringe.
Recensioni sempre più critiche
E anche chi aveva salutato con entuasiasmo i primi due episodi inizia a mostrarsi più critico man mano che gli episodi passano. Ad esempio la rivista Wired al quarto episodio ha titolato che la serie “vacilla“ e per la quinta ammette fin dal sottotitolo che “La quinta puntata della saga fantasy intitolata Separazione conferma i sospetti che aleggiavano da un po’: il problema dello show di Prime Video è la writer’s room“.
Lo scrittore Wu Ming 4, tra i fondatori dell’AIST – Associazione Italiana Studi Tolkieniani, che intervistato da diverse testate prima dell’uscita della serie aveva anche derubricato le critiche preventive alla serie ai soli aspetti relativi all’etnia degli interpreti4, a commento del quinto episodio ha proposto sul sito dell’AIST una serie di note dove pur cercando di salvare la serie con la scusa del postmoderno, ammette i limiti di scrittura de Gli anelli del potere. Affermando: “E allora alcune semplificazioni negli snodi narrativi, alcune gratuite e repentine sterzate della trama, e soprattutto le poche sfumature psicologiche dei personaggi non possono che fare storcere il naso ai palati più sgamati.”
E la stessa AIST, che nel suo sito aveva recensito entusiasticamente i primi tre episodi, non ha ancora commentato il quarto, il quinto, lasciando la palla a Wu Ming 4 per il sesto episodio. Con cui concordiamo limitatamente all’analisi di Adar, autenticamente tolkieniano. Ma un po’ poco, anche perché Adar dovrebbe essere solo un riempitivo per il giochino “chi è e quando arriva Sauron?“.
La critica aggiusta il tiro?
Tra gli ultimi articoli molto critici da segnalare anche quello di Forbes, titolato ‘The Rings Of Power’ Is Making A Mockery Of Tolkien’s Work. Firmato da Erik Kain che aveva entusiasticamente recensito i primi episodi, per poi iniziare a criticare presto la qualità della scrittura della serie. E anche altri siti, ad esempio Den of Geek iniziano in maniera meno caustica a domandarsi se arrivati al 5° episodio la sceneggiatura sia sufficiente. Ecco un video dello youtuber Disparu (molto critico e polemico con la serie) che riepiloga questi cambi di fronte.
Ovviamente la serie non è ancora finita. E in linea teorica de Gli anelli del potere ne sono previste cinque stagioni. Ma è evidente che la serie non è mai decollata, perdendo l’involontario confronto con la “rivale” HBO House of the dragon. Serie rivale partita con aspettative molto più basse e dopo l’aver alienato il fandom con l’ultima e poco convincente stagione. Mentre Gli anelli del potere aveva tutti i riflettori, e sembrava avere il vento in poppa. Salvo i soliti fissati tolkieniani che si ostinavano a far notare “i dettagli”.
Venti anelli e 48 episodi
Dettagli che puoi fare a meno di notare se poi offri allo spettatore qualcosa di entusiasmante. E superato il sesto episodio l’unica cosa che resta entusiasmante è Adar, un’antagonista di livello con richiami al mondo tolkieniano. E Arondir, che però rappresenta lo “standard” di quello che dovrebbe essere un elfo tolkieniano. Un po’ poco per oltre 6 ore di telefilm.
Anche perché la serie si intitola pur sempre Gli anelli del potere, quelli che a grandi linee tutti conoscono: i tre ai re degli elfi. Sette ai signori dei nani. Nove agli uomini mortali. 19 anelli più l’unico anello. Già solo a parlare dei “portatori” ce ne sarebbe molto di materiale da inventare. Mentre per il momento abbiamo incrociato solo l’artefice degli anelli elfici, Celebrimbor, e due dei tre che indosseranno gli anelli elfici: Gil-galad e Galadriel. Il terzo elfo a portare l’anello, Cirdan, è previsto per la seconda stagione.
Mancano 42 episodi e per il momento ci dobbiamo contentare dei rallenty. E del fabbro elfico che presto saturerà tutti col mithril. Vedremo l’effetto sugli spettatori.
Note:
1 – Per quanto possibile nell’articolo abbiamo cercato di evitare di fare i “tolkieniani troppo attenti a Il Silmarillion per godersi la serie”, ma qualche considerazione è inevitabile. Celebrimbor, in quanto fabbro elfico, è amico dei nani (altrimenti che fabbro elfico sarebbe!). Ergo la sottotrama di Elrond e Durin per quanto ben costruita è certamente raffazzonata.
2 – Elendil è fedele, a parte il dialogo dove paragona gli occhi di Galadriel a quelli dei suoi due figli “ribelli”. Inaccettabile dal punto di vista tolkieniano, visto che gli occhi dell’elfa hanno visto la luce di Valinor, elemento noto sia ai telespettatori della serie (è il prologo) sia allo stesso Elendil che è amico degli elfi…
3 – Tra l’altro 3 navi per 500 uomini ok. Tre navi per 500 cavalli, no. Ma tanto è un fantasy
4 – Dall’intervista a Film TV a Wu Ming 4: Che aspettative hai, se hai, rispetto alla serie di Prime Video Il Signore degli Anelli: gli anelli del potere? Che tipo di operazione ti aspetto
Spero solo che a una titanica operazione commerciale come questa corrisponda la qualità della sceneggiatura, della recitazione della regia, perché è da questo che si giudica una fiction. Le polemiche preventive di certo fandom per l’impiego di attori neri a intepretare elfi e hobbit si commentano da sè. Al “politicamente corretto” degli studios Amazon si vorrebbe contrappore il “filogicamente corretto” dei custodi del canone, che non potrà mai essere un criterio di giudizio per un’opera derivata. Senza considerare che in base a certe logiche gli attori di colore non potrebbero receitare nemmeno nelle opere del più celebre drammatura di tutti i tempi, se non nel ruolo di Otello.
Saggista e divulgatore, pare alla fine degli anni ’90 frequentasse fanzine e desse vita a cineforum dedicati all’animazione nipponica. Si diletta di animazione nipponica e gioco da tavolo con un occhio alla fantascienza televisiva e cinematografica.
Anghelos Massignon
Sempre più convinto di non aver sbagliato nel mollare dopo il primo episodio.
Comunque, temo che certi fan, più tossici di quelli accusati da Amazon, non accetteranno mai queste osservazioni. E temo che sarà difficile, se non impossibile, sperare in cambiamenti nella scrittura di sceneggiature nei fantasy, ma anche nella fantascienza, SE i produttori sono americani mainstream, compresi Amazon e Netflix. Insomma, speriamo che registi e animatori di altri paesi si diano una svegliata, e prendano lo spazio che Rednecks e Yankees stanno perdendo.