La libertà dell’Autore nell’Era dell’Inclusività Forzata

Quando l’Inclusività Forzata Tradisce la Vera Arte

 

In un’epoca in cui l’inclusività è una pretesa sempre più centrale nel dibattito pubblico e artistico, emerge la necessità di unattenta riflessione su come questo principio si relazioni con la libertà creativa degli autori. Se da un lato, in alcuni casi, promuovere una rappresentazione equa e diversificata può sembrare “necessario”, dall’altro è cruciale evitare che le istanze di inclusione si trasformino in una forma di censura o snaturazione delle opere rappresentate. O, peggio, in uno strumento per veicolare propaganda politica, snaturando l’essenza stessa dell’opera d’arte e costrigendo gli autori a realizzare opere che non aderiscono all’idee che li aveva indotti a realizzarle. Perché, spesso, inclusività forzata tradisce la Vera Arte.

 

L’inclusività forzata nel genere fantasy

 

Inclusività forzata, fantasy

Ad essere maggiormente snaturate sono le trasposizioni di opere fantasy o pseudo-storiche molto note e popolari tra il pubblico di appassionati di questo genere. Come abbiamo visto sia in The Witcher che nella Terra di Mezzo con Gli Anelli del Potere, si applicavano le etnie umane ad Elfi e Nani che, come è noto, hanno le loro etnie: Elfi Oscuri, Noldor, Eldar, Quenya, Nani delle Colline, Nani della Montagne, ecc…, ecc… Un nero è parte di un’etnia umana e applicarla alle razze fantasy significa non capirci un tubo di quanto si sta rappresentando

 

Ne avenamo già discusso in “Elfi neri ne Il Signore degli Anelli… si può?”, ma questa volta vogliamo riaffrontare l’argomento in modo più sintetico ed esaustivo. Il problema che ha indignato non pochi fan di opere fantasy come The Witcher e Il Signore degli Anelli, consiste nell’assurdità di inserire etnie umane, come i neri, all’interno di razze fantasy che hanno già da parte loro tutta una serie di etnie che li contraddistinguno. Prendiamo ad esempio gli Elfi, che J. R. R. Tolkien aveva suddiviso in una vasta gamma di etnie elfiche: Elfi Oscuri, Noldor, Eldar, Quenya, ecc… Lo stesso vale per i Nani che sono suddivisi principalmente in Nani delle Colline e Nani della Montagne. Ogni etnia elfica e nanica e descritta con perizie di particori, incluse le catteristiche estetiche di queste popolazioni fantasy. Dunque, inserire etnie umane come Nani neri o Elfi asiatici, significa non capire niente di quanto si sta rappresentando. Il discorso lo si può applicare praticamente a quasi tutte le opere fantasy.

 

E tutto il fantasy si ispira a Tolkien

 

Inclusività forzata, D&D

Come potete cogliere da questa immagine, in D&D ogni razza non soltanto è ben caratterizzata, ma vanta le sue etnie o sottorazze

 

Anche nel fantasy più “mercificato”, come quello ispirato a Dungeons & Dragons, ogni razza ha una moltitudine di etnie diverse. Sempre nel caso degli Elfi, abbiamo Elfi dei Boschi, Elfi Alti e Drow (Elfi Scuri). Mentre per i Nani abbiamo Nani degli Scudi, Nani della Montagne, Nani Grigi, ecc… E tutte le altre numerisssime razze presenti in D&D hanno anchesse una moltitudine di etnie. Prendere un Drow e farlo “asiatico” significa davvero deformare ambientazioni note come I Reami Perduti e Greyhawk, che vantano anch’esse una vasta gamma di romanzi a loro dedicate, amati dai fan. In questo caso applicare l’inclusività è sinonimo di vera e propria ignoranza.

 

Snaturare un’ambientazione con l’inclusività forzata

 

Inclusività forzata, Rohirrim

I Rohirrim sono una popolazione umana che Tolkien descrive come “nordica” o “scandinava” nell’aspetto. E, pertato, come tale va raffigurata nelle trasposizioni legate alla Terra di Mezzo. Fare altrimenti significa non rappresentare la Terra di Mezzo, ma qualcos’altro…

 

Peggio ancora sarebbe inserire in Kara-Tur di Toril –, samurai e ninja bianchi, biondi o scandinavi per far “contenti” i nord europei. Perché il fascino di ogni ambientazione sta proprio nella sua unicità rispetto alle altre. Alcune ambientazioni sono ispirate all’Asia, sfruttando la mitologia cinese o giappoese, altre, come la Terra di Mezzo sono una sorta di Europa ancestrale ispirata alla mitologia nordica ed europea. Mentre opere come la saga di The Witcher si ispirano al folclore polacco. Pertanto inserire elementi di inclusività forzata in queste opere equivale a deformarne l’ambietazione descritta dagli autori. Oltretutto, di norma, nessuno si indigna se tra gli Umani può esserci un asiatico o un nero. Ma inserire etnie umane in razze fantasy è davvero idozia allo stato puro.

 

L’inclusività forzata non riguarda solo il genere fantasy

 

Inclusività forzata, Demeter

Demeter – Il risveglio di Dracula avrebbe potuto quasi essere un capolavoro se si fosse attenuto alla trama originale del romanzo. Ma anche qui arriva il flagello dell’Inclusività!!!

 

Anche qui si potrebbero fare decine e decine di esempi, per dimostrare come l’inclusività forzata dalle produzioni abbia devastato opere appartenenti ad altri generi lettari o cinematografici. Un esempio che calza a pennello è Demeter – Il risveglio di Dracula, un’opera horror uscita per Netflix che dimostra quanto l’inclusività sia maledettamente dannosa. L’opera si ispira alla parte del romanzo di Dracula di Bram Stoker, che si basa sulla parte del racconto dedicato al diario di bordo della nave Demeter. Si tratta di una delle parti dell’opera di Stoker meglio riuscita, dove gli sceneggiatori del film avrebbero potuto tranquillamente copiare il romanzo per ottenere un film quasi perfetto. Invece, anche qui, cala la mannia dell’inclusività forzata. XD

 

Due strani personaggi…

 

Un nero medico nel XIX secolo, che diventa all’accerrimo nemico di Dracula… E una ragazzina, Anna, che dopo essere stata usata come un pezzo di carne da cui Dracula succhiava ingenti quantatità di sangue si trasforma in una super cazzuta ammazza vampiri…

 

Il dottor Clemens è interpretato da un nero piuttosto agguerrito per essere un semplice medico di bordo. Ma, soprattutto, un medico nero nellEuropa del XIX secolo risulta veramente antistorico. Non perché in Inghilterra, a quel tempo, non vi fossero neri, ma un nero medico a quei tempi era pura utopia. Inutile girarci intorno. Questo già di per sé rende inverosimile l’ambietazione storica del film a partire dal protagonista. Aggingiamoci anche il personaggio di Anna: una ragazzina nativa del villaggio di Dracula, ridotta a un pezzo di carne che il vampiro ha seppellito in una bara, per nutrirsi di lei il più possibile. La ragazza viene salvata dal protagonista e oltre a rimettersi in perfetta salute ed imparare la lingua inglese in poche ore, si rivela ben presto una Girl Power. Cioè, una ragazza potentissima, ammazza vampiri!!! XD Inutile dire come il film sia stato snaturato anche nella narrazione che non rispetta quella del romanzo che traspone, per adattare la storia sui due protagonisti. Il risultato è dei più sconsolanti per chi ha amato il romanzo.

 

Il bisogno di essere rappresentati non sta nell’esteriorità

 

Inclusività forzata, Wakanda

Provate a rendere più inclusiva Wakanda: la nazione africana di Black Panther. Magari inserendo al suo interno wakandiani bianchi, asiatici o di altre etnie e vedrete come gli afroamericani si incazzareno di brutto! L’inclusività, infatti, avanza in una sola direzione…

 

C’è un altro aspetto su cui ci si sofferma molto poco: le persone possono sentirsi rappresentate anche da personaggi che non hanno fattezze umane. Perché viene chiamata in causa l’empatia: un personaggio in cui rivediamo noi stessi, anche se non ha un aspetto fisico simile al nostro. Per esempio, posso rivedere me stesso in un supereroe come Peter Parker non per il colore della pelle o l’etnia, ma perché è anche lui un nerd introverso che riesce a tirare fuori sé stesso soltanto quando porta la maschera da Uomo Ragno. Facendo un altro esempio, quando seguivo la serie delle Tartarughe Ninja mi ritrovavo, spesso, ad empatizzare con il personaggio di Raffaello, perché mi rivedevo nel suo carattere impulsivo e pessimista. E si potrebbero fare centinaia di altri esempi di questo tipo. La Disney gioca sporco sull’inclusività, come quando ha scelto per il ruolo di Ariel la sirenetta un’afroamericana. Ma Halle Bailey è decisamente molto lontana dai canoni di bellezza di una ragazza comune, bianca o nera che sia. In secondo luogo, il suo aspetto è inappropriato per il ruolo di Ariel, in quanto una creatura che vive negli abissi è inevitabilmente diafana. Questo ci fa capire come spesso l’inclusività sia solo una presa in giro. Perché il fine delle grandi produzioni è quello di attirare maggior pubblico per via delle conseguienti polemiche.

Conclusione

 

Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere è senz’altro una serie che ha deformato l’immagionario di Tolkien in nome dell’inclusività più becera. Non si limita a introdurre Elfi e Nani di etnia nera, ma rende luoghi come Númenor “multietnici”, quando sappiamo bene che gli Uomini dell’Ovest avevano tratti ben precisi, che sono quelli dei Dunedain come Aragorn. E non ammettavano sulla loro isola nessun altro popolo umano

 

La libertà creativa non è una pretesa assurda. Ma un diritto di ogni autore, che può rappresentare le proprie opere basandosi su ciò che lo muove dal punto di vista artistico. Tuttavia, più importante ancora, l’unica cosa di cui deve tenere conto un autore sono quelle regole della narrativa che gli permettono di realizzare un’opera ben fatta. Se scrittori, sceneggiatori e registi sono costretti dalle produzioni ad adottare concetti assurdi. Come inclusività forzata, pretese ideologiche, come il femmenismo agguerrito Girl Power tanto per dirne una. Così le opere diventano non soltanto strumenti di propaganda, ma film o telefilm mediocri che avrebbero potuto, anche con poco, essere opere pregevoli. E spetta al pubblico cercare di penalizzare questo tipo di opere strumentalizzate dalle grandi produzioni. In modo da far capire che quello che gli spettatori ricercano davvero è solo un’opera ben fatta: sia nella sceneggiatura, nella messa in scena che nella regia.

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