The Deer King – Il re dei cervi – recensione
Pur non all’altezza delle aspettative, Il Re dei cervi ha comunque tutte le carte in regola per diventare un classico
È da poco passato nelle sale italiane The Deer King – Il Re dei cervi lungometraggio d’animazione su cui si erano concentrate parecchie attese visto il livello della produzione. Produzione che vede alla regia due “quasi debuttanti” con una grandissima esperienza alle spalle: Masayuki Miyaji e Masashi Ando. Coadiuvati da uno studio che è un’altra certezza dell’animazione nipponica, la Production I.G.
Il risultato è un film che in parte delude. Non riesce a competere con le altre grandissime produzioni che hanno visto Ando e Miyaji lavorare dietro le quinte (il meglio dell’animazione degli ultimi 25 anni). E si presenta come un‘opera ostica per diversi fattori. Innanzitutto un character design che si rifà ai classici tra la fine degli anni’ 70 e la prima metà degli anni ’80, chara combinato con un’animazione fluida ma che non vuole stupire. E a complicare il tutto l’essere un adattamento dei primi due volumi di una trilogia fantasy, che rende alcuni passaggi della sceneggiatura molto affrettati. Allo stesso modo, pur nei limiti e nei difetti dell’opera The Deer King – Il Re dei cervi, complice anche la poderosa colonna sonora firmata da Harumi Fuuki, si pone come un moderno classico, che sicuramente potrà essere rivalutato in futuro.
Masashi Ando, una presenza accanto a maestri consolidati
Come fa notare Wikipedia, cosa accomunano tre dei maggiori incassi della storia dell’animazione nipponica Princess Mononoke, Spirited Away, e Your Name? L’aver visto coinvolto nella produzione proprio Masashi Ando, classe 1969. Questi tre film hanno avuto Ando nel ruolo di direttore delle animazioni nonché il character design (In Principessa Monoke con il compianto Yoshifumi Kondō, di cui fu allievo, e in Your Name assieme a Masayoshi Tanaka).
Ma l’esperienza di Ando non finisce qui, avendo lavorato con un altro dei grandi dell’animazione degli anni zero: Satoshi Kon. Ando è stato direttore dell’animazione in Tokyo Godfathers e Paprika – Sognando un sogno di chi ha curato anche il chara.
Masayuki Miyaji, una carriera nata nello studio Ghibli
Anche Masayuki Miyaji, classe 1976, ha iniziato a farsi conoscere nello Studio Ghibli come assistente ne I miei vicini Yamada, Spirited Away e nel cortometraggio Mei to Konekobasu, Mei to Konekobasu. Da li ha lavorato come autore degli storyboard e regista di singoli episodi in serie come Inuyasha, Detective Conan ed Eureka Seven. Nel 2008 cura la regia della serie animata Xam’d: Lost Memories con obiettivi piuttosto ambiziosi, dichiarando di essersi ispirato anche a due registi europei piuttosto lontani da quello che viene considerato il mondo degli anime: Jean-Luc Godard e Ken Loach!
Nel 2012 il suo debutto alla regia di un lungometraggio, con Fuse Teppō Musume no Torimonochō, tratto dal romanzo Fusé Gansaku: Satomi Hakkenden di Kazuki Sakuraba del 2010. Romanzo ispirato a un classico della letteratura nipponica come Nansō Satomi Hakkenden, Cronache degli 8 cani, dello scrittore Kyokutei Bakin (1767 – 1848). Classico che ha ispirato tra gli altri la serie Shin Hakkenden, 1999, e uno dei clan di Naruto.
The Deer King e i romanzi di Nahoko Uehashi
Ando e Miyaji si uniscono allo sceneggiatore Taku Kishimoto (altro ex dipendente dello Studio Ghibli: Miyazaki rifiutò la proposta di Kishimoto per la sceneggiatura per Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento…) per portare sullo schermo i primi due romanzi della trilogia The Deer King firmata da Nahoko Uehashi, affermata scrittrice di libri per ragazzi. Nonché antropologa e professoressa di etnologia alla Kawamura Gakuen Women’s University. La sua opera più famosa è la saga di Moribito, sempre di ambientazione fantasy, già oggetto di numerosi adattamenti in Giappone. Sebbene le opere di Nahoko Uehashi non siano così note fuori dalla madrepatria, l’autrice ha ottenuto comunque negli anni una certa notorietà internazionale. Nel 2014 ha vinto il prestigioso premio Andersen per la letteratura dell’infanzia (nel 1964 lo vinse Gianni Rodari, ad oggi unico italiano).
L’ambientazione de Il Re dei cervi
Una scrittrice fantasy che si occupa a livello accademico di antropologia ed etnologia. Questa la premessa per accostarsi al mondo di The Deer King. Su un’ambientazione piuttosto classica si intersecano sia tematiche moderne (una pestilenza) che elementi del folklore locale simili a quelli che abbiamo imparato ad amare grazie a opere come quelle di Miyazaki.
Il mondo di The Deer King è un fantasy senza una connotazione spazio-temporale precisa, ma in linea con quello che potrebbe essere il tardo periodo Muromachi. Su questo scenario vediamo un impero, Zol, consolidare il proprio dominio su un regno sconfitto, Aquafa. Una conquista completata solo una decina d’anni prima dell’inizio della storia di The Deer King. La guerra sanguinosa, come scopriremo, si era conclusa piuttosto frettolosamente senza il completo annientamento di Aquafa.
La pace tra l’ex regno indipendente e l’impero ha lasciato entrambi i contendenti insoddisfatti. Da un lato l’impero che vorrebbe schiacchiare e annettere definitivamente Aquafa. Dall’altra elementi di Aquafa sono disposti a tutto per riguadagnare la propria indipendenza.
La febbre dei lupi: mito…
Su queste premesse si innesta la formidabile variabile immaginata da Nahoko Uehashi nel “lontano” 2014: un‘epidemia. La pace apparente tra Zol e Aquafa è minacciata da uno strano morbo, il Mitzal. Morbo che aveva decimato l’esercito imperiale di Zol dieci anni prima, costringendo l’impero a concedere la pace e una certa autonomia ad Aquafa, rinunciando a una completa annessione.
Un morbo che dopo dieci anni di tregua torna a contagiare. Una malattia che si scatena dai più remoti recessi della foresta nel cuore di Aquafa, e che sembra colpire solo le genti di Zol. Mentre gli abitanti di Aquafa restano apparentemente immuni.
…o malattia?
La chiave di lettura è proprio il misterioso Mitzal: maledizione della foresta sacra di Aquafa contro gli invasori? Oppure moderno morbo da combattere con le armi della scienza? E proprio l’elemento più interessante del film è come verrà risolto questo quesito.
Da un lato è una malattia che potrà essere sconfitta con la scienza. Allo stesso modo c’è l’elemento ancestrale e tradizionale della foresta, che protegge il popolo che ha vissuto e si è evoluto in armonia con essa. Gli abitanti di Aquafa sono naturalmente immuni per quello che è uno degli elementi indiretti della loro dieta. La scienza è realtà fisica, ma allo stesso modo l’etnologa Uehashi ci ricorda come le tradizioni che si sono fatte mito si basano sulla stessa realtà.
The Deer King: i protagonisti
Protagonista del film è Van, l’archetipo del guerriero sconfitto su tutti i fronti. Membro di un clan di Aquafa famoso per allevare e cavalcare i cervi del titolo, Van è stato anche l’ultimo comandante dell’ultimo manipolo di guerrieri di Aquafa a dare battaglia agli uomini dell’impero di Zol. Rivolta più simbolica che altro, inevitabile la sconfitta e la cattura. E una scelta, quella di dare battaglia fino alla fine, che lo ha costretto ad abbandonare moglie e figlio, morti poi di malattia. In The Deer King conosciamo Van dopo la sconfitta, quando è ormai solo un forzato nelle miniere di sale di Zol.
Quì, nel trambusto successivo a un’incursione di un branco di lupi neri portatori del Mitzal, Van riesce a liberarsi e a salvare una bambina, Yuna. Molti si metteranno sulle sue tracce, in particolare il capo dei chierici di Zol, Hossal, scienziato deciso a trovare una cura contro il Mitzal grazie al sangue di Van.
Hossal, scienza contro mito?
In molti hanno trovato nella figura di Hossal una piuttosto facile allegoria della contemporaneità post-pandemica. Hossal come un virologo che usa la scienza per combattere non solo la malattia, ma anche la superstizione che descrive il Mitzal come una maledizione. In realtà è un piano di lettura che eufemisticamente potremmo definire semplicistico (comunque ci sono mascherine e guanti nella prima parte, quindi sul piano visivo l’allegoria del Covid è una suggestione piuttosto evidente).
Semplicistico perché siamo in una foresta di mondo fantastico. Ma un mondo fantastico che de-facto è il folklore del Giappone. E, ripetiamo, la storia è tracciata da un’etnologa.
Non c’è quindi un piano della superstizione da combattere. Al massimo c’è un elemento del folklore da approfondire. In realtà come si vedrà nel finale, se pure la scienza ne uscirà “vincitrice” sul piano dell’immediato, il passo successivo sarà proprio la comprensione del mito della foresta. Un mito che non potrà che essere letto come “Saggezza della natura” come il motto dell’esposizione universale di Aichi del 2005 (Esposizione universale che, guardacaso, omaggiò proprio l’opera di Miyazaki, ricreando come attrazione permamente, proprio la casa di Satsuki e Mei vista in Totoro).
Van, esempio di pacifismo del reduce
Altro elemento che ritroviamo in alcuni classici di Miyazaki (e non solo) è quello che possiamo definire come “pacifismo del reduce”. Van non solo è un eroe di guerra, è colui che ha guidato i suoi uomini in battaglia fino all’ultimo, quando ogni speranza era ormai vana. Lo si potrebbe ben definire come un esempio di “ultimo giapponese“. Pure Van diventerà nello sviluppo della storia l’uomo della pace. Pace tra due fazioni solo apparentemente in pace, ma alla ricerca di una guerra che possa fare scempio del nemico definitivamente. Una scelta quella di Van che lo porterà persino ad andare quello che avrebbe rappresentato il classico ruolo del prescelto.
Si tratta di riunire i due opposti. Anche l’arco narrativo di Hossal dovrà congiungere i due elementi antitetici. Per l’uomo di scienza si tratta di comprendere il mito per conciliare la scienza. Mentre Van è l’uomo di guerra che dovrà farsi portatore di pace. Regnare sui lupi o sui cervi?
Regnare sui cervi, ma senza negare l’identità dei lupi, perché tutta la Natura fisica è connessa.
Il Re dei cervi e i limiti di sceneggiatura?
Nonostante le interessanti premesse sugli archi narrativi di Van e Hossal, a livello di costruzione della sceneggiatura The Deer King presenta alcuni grossi limiti nello sviluppo delle motivazioni e degli archi narrativi dei personaggi.
Innanzitutto il tema centrale tra Van e Yuna. Da una parte l’ex guerriero, ultimo eroe della resistenza contro Zol. L’uomo che perso la sua famiglia ed è finito condannato ai lavori forzati nonché sopravvisuto al Mitzal. Dall’altra l’orfana, quasi figlia di nessuno. Per tutto il film Van insisterà molto su come l’incontro con Yuna e questa ritrovata famiglia sia stato l’elemento scatenante del suo percorso di redenzione. Ma in realtà Van nel film è già ampiamente redento di suo.
Basta ricordare l’incipit che ci mostra come Van aiuta un’altro ergastolano ai lavori forzati e si oppone ai soprusi delle guardie.
Quando è ancora l’eroe della resistenza, decide di risparmiare il figlio giovane dell’Imperatore, perché è solo un ragazzo. Proprio nel combattere Van è già consapevole dei limiti della scelta. La scelta di aver combattuto anche in assenza di possibilità di successo. Una scelta che pur nel desiderio di indipendenza non farà altro che portare altri lutti. Senza cambiare lo status quo dello scontro tra Zol e Aquafa. Ma il pacifismo di figure come quella di Van non può fare a meno della consapevolezza di aver combattuto anche quando tutto era già perduto.
Altro personaggio con sviluppo analogo è la cacciatrice che si mette sulle tracce di Van. Anche qui abbiamo un personaggio con una forte motivazione di ribellione nei confronti dell’impero di Zol. E allo stesso modo abbiamo la consapevolezza del reduce, che smette di combattere con la comprensione che è diventato inutile. Ma per lei il cambiamento è del tutto repentino, dopo un breve scontro, nella sequenza successiva del film la consapevolezza è già raggiunta. Uno dei limiti di The Deer King – Il re dei cervi è trasmettere la sensazione che certe cose accadano perché erano così nel libro. Senza porsi il problema di costruire archi narrativi per lo spettatore del film che ignorasse il libro.
The Deer King visivamente potente… ma troppo Mononoke
Altro limite di The Deer King – Il Re dei cervi è la scelta di omaggiare capolavori come Principessa Mononoke e Nausicaä della Valle del vento. Omaggi anche necessari, ma così pervasivi da acuire il senso di già visto. E soprattutto visto il livello delle opere che vengono omaggiate, il già visto si può trasformare in una “inadeguatezza” nei confronti dell’originale.
L’omaggio a suo modo necessario è la prima entrata in scena dei lupi neri e del Mitzal che scaturiscono dal cuore della foresta, come sorta di blob nero. Ci troviamo di fronte a un richiamo diretto a Principessa Mononoke. Così come alcuni dettagli delle armature e del vestiario che rimandano all’anime e al manga di Nausicaä. Se da un lato per la messa in scena del Mitzal, che deve mantenere la sua duplice natura di morbo scientifico/maledizione della foresta, l’ispirarsi a Mononoke è scelta quasi obbligata, pure costringe The Deer King – Il re dei cervi ad alzare subito e troppo in alto l’asticella.
Buone qualità tecniche, ma qualche virtuosismo non guasterebbe
Se è un film dalle buone qualità tecniche complessive (regia, fluidità delle animazioni, espressioni) Ando e Miyaji scelgono volutamente di realizzare uno stile d’animazione quasi vintage. Molto evidente nel character design di Van, e nella scelta di alcuni sfondi acquarellati. E alternando sequenze in cui lo sfondo è un tripudio di tridimensionalità e di dettagli (come negli ultimi anni ci ha abituato Makoto Shinkai), a sfondi più piatti e giocati più sulla capacità evocativa immediatamente dopo. The Deer King – Il re dei cervi rifugge all’effetto wow, ma allo stesso modo Ando e Miyaji non hanno quella consapevolezza di regia di scuola Gainax (riferito a certi momenti di Neon Genesis Evangelion e, soprattuto, all’ultimo episodio di Top o Nerae! Gunbuster) di fare miracoli con i fotogrammi fissi o fondali ridotti a bozze.
Porsi immediatamente in confronto con Mononoke induce nello spettatore un misto di “già visto” e “inadeguatezza” rispetto al modello di riferimento. Senso esacerbato dal design di armature e dettagli dei costumi di Zol e Aquafal che acuiscono il cortocircuito con l’immaginario miyazakiano.
Insomma il risultato complessivo di The Deer King – Il re dei cervi dal punto di vista tecnico sarebbe quello di un ottimo film senza virtuosismi tecnici. Ma le inevitabili associazioni con pietre di paragone come Mononoke e Nausicaä della Valle del vento, spingono lo spettatore (soprattutto se occidentale) verso un confronto in cui l’opera di Ando e Miyaji non può che uscirne sconfitta.
Il tema postbellico trattato con grande maestria
L’elemento The Deer King – Il re dei cervi riesce a trasmettere pienamente è quello del rapporto che si instaura tra conquistatori e conquistati al livello della politica e dei capi, e quello al livello degli uomini comuni. Capi, sacerdoti, imperatori e vicerè, tranne poche eccezioni, nonostante la facciata di una pace che conviene a tutti cercano di scatenare un nuovo conflitto. La gente comune ha invece avviato un complesso lavoro di pacificazione. E sarà proprio il precipitare della situazione a far emergere come la popolazione sia irrimediabilmente divisa tra chi vuole la pace e scende a patti con l’altro (sia esso di Zol o Aquafa) e chi ambisce alle vecchie glorie sognando un nuovo conflitto.
Il viaggio dell’eroe, il viaggio di due popoli
In fondo è lo stesso percorso del protagonista Van, ma declinato sulla scala di tutto il regno. Bastano poche sequenze e poche battute ad Ando e Miyaji per pennellare quella che è la grande storia immaginata dalla Uehashi. Uomini di Aquafa sposano donne di Zol e ragazze di Aquafa si fidanzano con uomini di Zol. I saggi di Aquafa fanno da precettori ai figli dei nobili di Zol.
In quelle poche sequenze si riesce a trasmettere la profondità dell’opera della Uehashi. E anche gli elementi di sceneggiatura meno convincenti alla fine funzionano grazie alla tridimensionalità che riesce a infodere l’opera. Non è solo la storia di un protagonista, ma è l’affresco di un’epoca che cambia.
Scienza e mito possono convivere
Altro elemento riuscito sono i livelli di lettura del Mitzal. Il morbo portato dai lupi neri, sorta di maledizione contro l’impero di Zol, e quindi potenziale arma. Il Mitzal come malattia del sangue che può essere sconfitta con la scienza. E allo stesso modo la scienza non può negare l’elemento tradizionale. La foresta protegge dalla malattia gli abitanti che convivono con la Natura del bosco. La saggezza della Natura e la concretezza della Scienza sono semplicemente due livelli di lettura della stessa realtà.
Il prescelto: regnare sui cervi…
Infine il terzo punto di forza di The Deer King – Il Re dei Cervi è il saper articolare il viaggio dell’eroe del protagonista Van sui due punti precedenti. Le caste che cercano la guerra contro la gente comune che cerca la pace. E il far convivere il piano del mito con un’ambientazione sì fantasy ma allo stesso tempo realistica. I lupi neri che propagano il morbo possono essere controllati a fini “bellici”. Aquafa potrebbe avere la sua rivalsa su Zol, e chi meglio di un’ex eroe della resistenza come Van per guidare i lupi e regnare su essi diffondendo il morbo?
Ma Van ha già compreso il pacifisimo del reduce. E come sottolinea Hossal «Vivere è opporsi al proprio destino». Allo stesso modo un elemento tradizionale, un mito, non è qualcosa che può essere aggirato o interotto da un momento all’altro. Il mito e il rito associato (come ci ricorda Shinkai in Your Name) sono qualcosa che continueranno anche quando se ne sarà perso il significato.
…o regnare sui lupi
Opporsi al proprio destino non è quindi semplice. E se il prescelto si rifiuta…
Ovvero Yuna, la bambina, che una volta rapita dai lupi e sottratta a Van diventerà l’elemento incontrollabile. L’inconscio desiderio di vendetta (anche Yuna viene dalla miniera di sale) e l’assenza della figura guida declinerà la figura di Yuna nell’elemento Yin allo stato puro. Caos fine a sè stesso. E Van dovrà così accettare il ruolo di prescelto e regnare sui lupi come re dei cervi. Più semplicemente, Yin e Yang.
The Deer King: tirando le somme
Pur con alcuni limiti di sceneggiatura, pur con qualche déjà-vu di troppo Ando e Miyaji riescono a infondere in The Deer King – Il Re dei cervi un èpos che rende la vicenda attraente e profonda. E fa sperare che la storia firmata dalla Uehashi possa approdare in occidente. Uno di quei film tratti da un libro che ispirano la lettura dello stesso. Il principio per cui questo film nel tempo potrà costruirsi il suo bacino di appassionati.
Saggista e divulgatore, pare alla fine degli anni ’90 frequentasse fanzine e desse vita a cineforum dedicati all’animazione nipponica. Si diletta di animazione nipponica e gioco da tavolo con un occhio alla fantascienza televisiva e cinematografica.