Mercoledì instant cult o “solo” una buona serie?

 

Su Netflix tornano La Famiglia Addams e Tim Burton per una serie di immediato successo

 

Ma al netto del successo Mercoledì, la serie dedicata alla primogenita della famiglia immaginata da Charles Addams, la possiamo definire realmente un cult? O è “solo” un ottimo prodotto “vecchio stile” che si staglia sulla produzione streaming contemporanea usa-e-getta? Scopriamo insieme se Mercoledì è un’instant cult o “solo” buona serie.

 

La Famiglia Addams, un classico senza tempo

 

Mercoledì è solo l’ultima arrivata in una storia, quella de La Famiglia Addams, che inizia quando la televisione è ancora in bianco e nero. Una serie televisiva quella originale della ABC che andò in onda per due stagioni tra il 1964 e il 1966. Serie ispirata alle opere di Charles Addams (1912 – 1988), vignettista del The New Yorker che aveva iniziato a creare vignette con i membri della Famiglia Addams proprio sulle pagine del periodico. Fu la terza raccolta di vignette, che metteva in copertina la famiglia al completo a ispirare un produttore televisivo della ABC per creare un’opera ispirata allo stile e allo humor nero del vignettista.

 

Mercoledì

Le prime 4 antologie di vignette di Charles Addams, 1942, 1947, 1950 e 1954. Lo spazio dedicato all’iconica famiglia è sempre più evidente

 

Ma come testimoniano le raccolte, la prima con la prefazione del famoso attore Boris Karloff, l’interprete del mostro di Frankenstein al cinema, Charles Addams era già una figura popolare prima del successo della serie televisiva. Nel 1946 la rivista Life dedicò ad Addams e alla sua prima moglie Barbara Jean Day un servizio in cui già si delineava tutta l’iconografia del futuro mondo cine-televisivo della Famiglia Addams.

 

Charles Addams con la prima moglie Barbara Jean Day (LIFE, 1948, George Silk). Sembra un’immagine promozionale della serie, invece la precede di 16 anni

 

Una serie di immagini, quelle pubblicate su LIFE, che contribuiranno a creare il mito che Morticia fosse ispirata proprio a Barbara Jean Day. In realtà Addams aveva creato l’iconico personaggio prima di incontrare Barbara nel 1942, da cui divorzierà nei primi anni ’50. Morticia più che essere ispirata a Jean Day sarà forse l’ispirazione per la donna ideale di Addams, tanto che anche le successive “signore Addams” Barbara Barb e Marilyn Matthews Miller, seconda e terza moglie, avranno una certa somiglianza con la “Signora Addams”. La serie crebbe di popolarità negli anni successivi, grazie alla syndication la trasmissione della serie sui consorzi di TV locali. Lo stesso meccanismo che portò al successo di Star Trek. Alla prima serie televisiva seguì uno speciale musicale nel 1972, una serie animata tra il 1973 e il 1975, e una reunion di Halloween con il cast originale quasi al completo nel 1977.

 

I film degli anni ’90 e oltre

 

La popolarità de La Famiglia Addams tornerà all’apice nei primi anni ’90 con i due film diretti da Barry Sonnenfeld (e non da Tim Burton) in cui compare l’allora giovanissima Christina Ricci nel ruolo di Mercoledì. Tim Burton venne inizialmente coinvolto per il progetto, ma declinò per gli impegni legati a Batman Returns. Christina Ricci lavorerà con Tim Burton solo alcuni anni dopo ne “Il Mistero di Sleepy Hollow del 1999. Il film del 1991 e il sequel del 1993 decreteranno un nuovo successo per la creazione di Charles Addams, dando vita a una nuova serie animata tra il 1992 e il 1993 ed una nuova sit-com tra il 1998 e il 1999. Nello stesso periodo viene realizzato anche un film per la tv abbastanza dimenticabile e che si ricorda solo per l’iconica coppia Gomez e Morticia interpretata da due nomi come Tim Curry e Daryl Hannah.

 

Il musical della Famiglia Addams nel 2016 (Via Commons – Otterbein University Theatre & Dance Karl Kuntz- CC BY-SA 2.0)

 

Seguirà un musical e i due film animati del 2019 e del 2021. L’iconica famiglia creata da Charles Addams insomma ha sempre goduto di un lungo seguito, godendo di periodici ritorni. Inevitabile che la nuova Mercoledì godesse di immediata visibilità.

 

Un conto aperto per Tim Burton?

 

L’epopea cine-televisiva de La Famiglia Addams vede anche progetti che non arrivarono a compimento. Tra cui un La Famiglia Addams in stop-motion co-sceneggiata e co-prodotta da Tim Burton, un progetto del 2010 della Illumination che coinvolge fin da subito il regista. All’epoca si ipotizzò che Burton potesse dirigere il film, ma nel volgere di un paio d’anni il progetto si bloccò definitivamente. Da un lato Burton che voleva una vera stop-motion e dall’altro lo studios che voleva lavorare in CGI. L’idea passando di mano in mano diventerà poi il film animato del 2019.

 

Più Tim Burton o Smalville?

 

La vicenda del progetto del 2010 e il film mancato del 1991 rappresentavano quasi un conto aperto tra Tim Burton il regista per definizione di un certo immaginario “dark” e la creazione di Charles Addams. Questo quello che devono aver immaginato Miles Millar e Alfred Gough, i due sceneggiatori dietro l’operazione Mercoledì, autori della fortunata serie televisiva Smallville sul giovane Superman, ambientata quando era ancora un “ragazzo di campagna” nella cittadina del titolo. Serie fortunatissima andata in onda dal 2001 al 2011 per un totale di 217 episodi, al debutto in Italia riuscì a sorpassare un classico come X-Files negli ascolti.

 

Millar e Gough, dopo altre operazioni meno fortunate, come Le cronache di Shannara, acquisiscono i diritti per una serie ispirata alla Famiglia Addams e spediscono la sceneggiatura a Tim Burton che si dichiara subito della partita. Burton dirige i primi quattro episodi facendo da co-produttore. Porta con sè il suo storico autore di colonne sonore, il compositore Danny Elfman che scrive il tema musicale della serie, e la costumista Colleen Atwood, con cui Burton collabora dai tempi di Edward mani di forbice.

 

 

E, soprattutto, Burton diventa subito il “nome” su cui punta la comunicazione. Oscurando il duo di showrunner Millar e Gough. Ma se l’atmosfera di Mercoledì è assolutamente burtoniana dietro c’è la solidità di una serie come Smalville che è riuscita a tirare avanti dieci stagioni, e che rappresenta uno dei ponti tra la serialità televisiva degli anni ’90 e quella degli anni ’10. Rappresentando nella sua evoluzione il passaggio dal “mostro della settimana” ad archi narrativi disposti su più puntate.

 

Burton, Una grande carriera alle spalle?

 

Ma com’è questa Mercoledì? Dietro c’è sicuramente un’atmosfera alla Tim Burton, con il tema musicale, i costumi e qualche guizzo di regia. Pure la stella del grande regista negli ultimi anni era un po’ in affanno. Si potrebbe quasi dire che sono più di dieci anni in cui “non azzeccava un film”,

  • 2010,  Alice in Wonderland
  • 2012,  Dark Shadows
  • 2012, Frankenweenie
  • 2014, Big Eyes
  • 2016, Miss Peregrine’s Home for Peculiar Children
  • 2019, Dumbo

Con qualche guizzo qui è là, un decennio di film che se da un lato confermavamo l’abilità visiva di Tim Burton, segnavano un po’ la corda nel ripetere le litanie della sua cifra stilistica. Un po’ quello che stava accadendo a una delle sue muse, Johnny Depp, quasi l’alter-ego cinematografico di Burton.

 

Il presto dimenticato Dumbo del 2019

 

Tra Hogwarths, Miss Peregrine e Sabrina?

 

Insomma da un lato La Famiglia Addams, un franchise iconico che in televisione sta per compiere i 60 anni. E che pur rimanendo assolutamente iconico c’è da ammettere che sono più le opere che non ricordiamo di quelle che ricordiamo (la serie originale e i due film di Sonnefeld più per il grandissimo cast che per i film in sé). Dall’altra un regista che per molti era diventato la ripetitiva parodia di sè stesso. Pure la combinazione si prefiggeva interessante, anche per l’idea di quell’Addams+Burton che non si erano ancora incontrati e quindi la serie ha ottenuto comunque un grande hype.

Pure le premesse non sembravano delle migliori. Gli showrunner volevano distanziarsi dall’immaginario della serie televisiva classica (casi recenti di showrunner che hanno avuto l’idea di allontanarsi dall’originale per finire nel cringe ne abbiamo? Ogni riferimento a Gli anelli del potere è puramente causale). E l’incipit non era dei migliori: Mercoledì, tipa strana, finisce in una scuola strana. Tipo Hogwarths, tipo Miss Peregrine, tipo Le terrificanti avventure di Sabrina. E c’è qualcuno che complotta contro la protagonista. Tipo idem. Nella scuola ci sono i vari gruppi di vampiri, lupi mannari eccetera.

Tipo la saga di Underworld o il famigerato film di Dylan Dog. Insomma tutto il campionario possibile del “già visto” affidato a un regista che del “già visto” ha fatto la sua cifra stilistica degli ultimi dieci anni! Non basterebbe il mai tramontato amore delle nuove generazioni per l’estetica dark academia a far funzionare l’operazione. Mercoledì funziona perché al netto che siamo negli anni ’20 è stata concepita come una miniserie di vent’anni fa (come Smalville) per intrattenere senza pretese.

 

Immagine del tetto della cattedrale di Santa Barbara a Kutná Hora, in Boemia, che accompagna le pagine di Wikipedia sullo stile della “Dark Academia”, ovvero tutta quella fascinazione estetica per università e biblioteche gotiche e neogotiche. Che passa dal reale di Oxford e dell’Ivy League, all’immaginario di Harry Potter fino alla lovecraftiana Miskatonic Universe (via Commons – Txllxt TxllxT – CC-BY-SA 4.0)

 

Perché funziona? È una serie vecchio stile

 

Se la prima stagione de Le terrificanti avventure di Sabrina pur con alcuni limiti funzionava, le serie successive finivano per distruggere il poco di buono che era stato costruito. Non basta un setting affascinante come quello di Sabrina, se poi lo si prende troppo sul serio andando a confliggere con la sospensione di incredulità dello spettatore, tra i bizantismi dei cultori di Satana. Certo in Mercoledì l’effetto Hogwarths è immediato. Ci sono gli immancabili vampiri messi subito in secondo piano, i lupi mannari caratterizzati in maniera abbastanza creativa, ma si cerca di andare subito oltre. Un po’ come in Riverdale, ma lì si giocava con il piano meta-narrativo dell’immaginario seriale a stelle-e-strisce. In Mercoledì si fa dei cliché una virtù.

 

Maghi e Babbani? A Nevermore ci sono gli “outcasts” e i “normies

 

Infatti più a giocare con le creature della notte a Nevermore sembra porsi nel dualismo Maghi e Babbani. Altro cliché? Non proprio, a Nevermore ci sono gli “outcasts” e i “normies“, in italiano “normali” e “reietti”. E per di più la scuola è nell’archetipo della cittadina dei famigerati padri pellegrini, quelli che bruciavano le streghe a Salem. Insomma, i “reietti”, ancorché con i superpoteri sono effettivamente un po’ reietti. E anche un po’ imbranati dalla gorgone che si pietrifica da solo, agli ex-fidanzati delle sirene che si lamentano non capendo se il loro amore fosse frutto del libero arbitrio o del “canto delle sirene”. O dei genitori lupi mannari apprensivi che temono che la loro figlia non diventi un mannaro. Reietti non di nome, ma anche di fatto. E l’effetto Hogwarths è scongiurato. 

 

Mercoledì
La Nevermore Academy di Mercoledì…. Molto Dark Academia

 

Perché funziona? Poca attualità

 

L’altro elemento che funziona è che c’è poca attualità esibita, una rarità per le serie Netflix, e che la accomuna con Stranger Things. È un mistery dark per ragazzi, una serie d’intrattenimento, non una serie filosofica. Molti colpi di scena prevedibili, e uno azzeccato. Intrattenere prima di pontificare. Pure Mercoledì non è un esercizio di assoluto disimpegno. Interessante il rapporto tra le due protagoniste, Mercoledì e la sua antitesi Enid Sinclair e le rispettive madri. Percorso antitetico non solo sul piano cromatico-caratteriale tra Mercoledì e la licantropa Enid, tanto in bianco-e-nero la prima, tanto a colori la seconda. Tanto antisociale Mercoledì, tanto invadente e pettegola la licantropa Enid. Con la madre della licantropa che si pone proprio come Mercoledì teme si atteggi la madre Morticia.

 

Percorsi validi e adatti a un teen drama, ma senza mai valicare l’intrattenimento. C’è anche un po’ di elemento da studi post-coloniali, anche omaggiando la folgorante scena della recita del Ringraziamento del primo film del 1991, con la questione outcast vs normies che si trascina dai tempi dei padri pellegrini. Dove il fondatore della città non vede l’ora di liberarsi degli abitanti d’origine spagnola-ispanica, inclusa l’antenata “bionda” di Mercoledì. Ovviamente una strega stile processi di Salem. Sicuramente non troppo filologico per una cittadina del New England, ma comunque credibile.

 

Una tale carenza di attualità ha anche portato a diverse polemiche. Nonostante la protagonista sia esplicitamente ispanica, qualcuno ha contestato la presenza di pochi personaggi afroamericani, e quei pochi con caratteristiche negative. Gente che non ha evidentemente visto la serie, visto che in Mercoledì la reginetta/numero uno della scuola, il personaggio che di solito è il più wasp di tutti, è proprio una sirena afroamericana. E gli stessi showrunner propongono per la prossima stagione di far diventare il personaggio di Mercoledì “fluida” per la prossima stagione. Anche se per adesso sembra più che altro una trovata promozionale, visto che le parole esatte al The Hollywood Reporter di Millar e Gough sono piuttosto generiche. Anzi a leggere tra le righe sembra più un fanservice da mangaka nipponico.

E il duo, nella stessa intervista, spiega come ai tempi di Smallville ci fosse molta più libertà creativa. Una libertà oggi impensabile.

 

Perché funziona? C’è un po’ di evoluzione del personaggio

 

Uno degli elementi “vecchio stile” della serie è che assistiamo a un minimo di evoluzione della protagonista. Certo Mercoledì è la numero 1, che vuole essere totalmente indipendente da amici e da famiglia, portando all’estremo una certa fascinazione per la protagonista con atteggiamenti neurodivergenti. Pure assistiamo a un venire a patti con entrambi gli aspetti. Avere degli amici e rispettarli nel loro essere agli antipodi, vedi la coloratissima licantropa Enid. E potersi rapportare con la madre senza la paura di dover maturare come imitazione dei genitori. Insomma in tempi “Mary Sue” perfette dal primo all’ultimo episodio è comunque un segnale di controtendenza. In tempi di “strong female” fini a sé stesse che finiscono con l’essere noiose, come ha fatto notare l’attrice Emily Blunt, la Mercoledì di Jenna Ortega per quanto “strong” non risulta piatta e banale.

 

Il castello Cantacuzino in Romania, nei Carpazi meridionali, che ha “interpretato” la Nevermore di Mercoledì (via Commons – Valentina Dactu – CC BY-SA 3.0 ro)

 

Perché funziona? L’immaginario è anche trito, ma non si prende sul serio

 

Insomma il classico teen drama scolastico con i misteri. Tanto stile dark academia. Burton che fa il Tim Burton dai colori pastello saturi ai momenti assolutamente dark e non manca il mostro con i caratteristici bulbi oculari. Citazioni ai classici, il nome Nevermore è ovviamente dedicato ad Edgar Allan Poe, il più illustre alunno della scuola. E c’è anche il Mr.Hyde di Stevenson. E i roghi di streghe. Ma gli showrunner e Burton, regista dei primi quattro episodi, sanno che è bene evitare inutili confronti e fanno di tutto per tenere alto il ritmo. Quasi negli otto episodi non ci sono momenti/episodi riempitivo che affliggono molte serie contemporanee, anche se obiettivamente l’inizio è un po’ lento. Inevitabile che il pubblico accorresse a sostenere la serie. Anche per merito di una protagonista assolutamente in parte.

 

Mercoledì instant cult o “solo” una buona serie?

 

Ma il successo di Mercoledì la rende automaticamente un cult? No, la serie Netflix è ben lontana dal titolo. Per il momento non può ambire allo status di cult come uno Stranger Things che pure parte da premesse simili. Stranger Things parte sempre da cliché e immaginari stra-abusati del cinema per ragazzi anni ’80.

Ma li ibrida e li reinventa, li combina con altri elementi dell’epoca, da Aliens per la seconda stagione, ad Alba Rossa per la terza, all’immaginario dei serial killer e di Nightmare per la quarta. Mercoledì per il momento si pone l’unico obiettivo di riproporre i suoi cliché e raccontarli con buon ritmo. Il ritmo di quando non esistevano lo streaming e il binge watching e una serie per appassionare doveva avere qualcosa in più del cliffhanger a fine episodio. Gli unici elementi in comune con Stranger Things restano i Metallica e un certo culto del reietto (come vedremo), trasformato in un strambo vincente apprezzato da tutti.

 

Perché non è un cult? Nulla di iconico (o forse no?)

 

Mercoledì non è un cult anche perché semplicemente non ci sono momenti cult. C’è il famoso ballo. Che pure mette insieme molte cose da CarriePulp Fiction che a sua volta rifletteva su un cliché. Di fatto con l’iconico ballo del quarto episodio siamo ben oltre il meta-cliché, pure funziona senza pretese. È un momento parodia, più che un momento cult.

 

Apocalyptica, Inquisition Symphony

 

In realtà un “momento cult” ci sarebbe anche, la monumentale chiusura del terzo episodio e il lavoro fatto con una colonna sonora monumentale. E qui si torna a parlare del metal dei Metallica, e del culto del reietto, come l’Eddie di Stranger Things. Un momento monumentale di cui pure in pochi si sono accorti. Il quarto episodio si chiude con un monologo di Mercoledì che accompagna brevi sequenze di tutti i personaggi della serie. Monologo sulle note della cover di Nothing else matters dei Metallica rifatta dai Apocalyptica nel 1998 (nel loro secondo album in studio dopo il successo di Plays Metallica by Four Cellos del 1996).

 

Gli Apocalyptica sul palco del 70000 Tons of Metal (il festival “itinerante” che si tiene su una nave da crociera) del 2015 (via Commons – Grywnn – CC-By-SA 4.0)

 

L’allora gruppo di quattro violoncellisti finlandesi realizza un adattamento potente e vibrante, ben lontano dalle derive pop e orecchiabili dei più famosi (e successivi) 2Cellos. Insomma il cult ci sarebbe anche, ma nessuno se n’è accorto perché è più sul piano tecnico di regia e montaggio che quello della breve clip, come l’apoteosi di Eddie che suona Masters of Puppets nel sottosuolo. E forse questo è uno degli altri elementi del successo di Mercoledì. Non solo ci conferma che Tim Burton, fortunatamente, è ancora un grande regista. Ma anche perché lo spettatore che forse un po’ “reietto” lo è stato, quando un certo immaginario non era ancora mainstream ha trovato quel dettaglio che non tutti colgono. Come nessuno coglieva allora il fascino di quel mondo, che fortunatamente, oggi è mainstream.

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